28/03/2021 | Silvia Anna Barrilà
La collezione di Giulia Colussi tra arte e gioielli
Dal Seicento al contemporaneo, l'arte e il collezionismo rappresentano una fonte di ispirazione per la designer, che tra Roma e Milano ama frequentare gli artisti e sostenerli nell'affermazione della loro carriera
Giulia Colussi, laureata in legge, ha lasciato una carriera da manager per dedicarsi al design di gioielli. Colleziona arte sia privatamente che come investimento per il trust della sua famiglia. Il suo approccio è calibrato, ma allo stesso tempo pieno di passione. Ama frequentare gli artisti e aiutare gli emergenti ad affermarsi sulla scena internazionale. Collezionare è per lei una fonte di ispirazione anche nella creazione di gioielli unici e irripetibili. Il vero lusso.
Che tipo di collezionista sei?
Da una parte colleziono privatamente, guidata dalla curiosità, dalla passione, dal mio gusto personale, perché mi dà gioia e mi induce a riflettere sul presente, il passato e il futuro. Dall’altra acquisto arte per il trust della mia famiglia, per cui compio scelte diverse, guidate da ragioni di investimento.
Quando nasce la tua passione?
Colleziono da tantissimi anni, è una passione che mi hanno trasmesso i miei genitori, che pure collezionavano, ma mobili e oggetti e quadri stile impero.
E tu che cosa collezioni?
Ho cominciato frequentando Napoli e, avendo una formazione classica, ho iniziato con le ceramiche dei maestri di Castello D’Abruzzo a Napoli, poi con la pittura del Seicento napoletano, che ho raccolto anche grazie all’incontro con il Soprintendente Nicola Spinosa, una persona coltissima che mi ha fatto appassionare. D’altro canto, Napoli allora visse un periodo d’oro durante il quale i Borboni fecero commissioni importanti e gli artisti convogliavano da tutta Europa. Era un punto di incontro e confronto. Mi interessa molto l’arte antica, ma in un’ottica di investimento ho deciso di virare sul contemporaneo, perché è l’arte che maggiormente si valorizza nel tempo.
Che cosa in particolare nel contemporaneo?
Guardo agli artisti italiani perché, malgrado tutto, sono campanilista nell’arte, e perché sono molto bravi, ma non abbastanza valorizzati. In Italia è difficile emergere, sono rari i galleristi che si arrischiano. Si parla tanto di aiutare ma poi non si fa nulla, per cui sento di dover dare il mio contributo. Inoltre, anche dal punto di vista umano, collezionare arte contemporanea significa avere la possibilità di incontrare gli artisti, che rappresenta per me un grandissimo arricchimento.
Quali artisti frequenti?
Sia a Milano che a Roma frequento gruppi di artisti. Per esempio, a Roma quelli del Pastificio Cerere, dove si rivive quell’atmosfera anni 60, con gli studi d’artista riuniti in un unico luogo e il dialogo che si instaura tra i giovani e gli artisti già affermati.
Quali gallerie apprezzi di più?
Mazzoleni a Torino e Londra e Simone Frittelli a Firenze sono due gallerie di qualità che seguo e con cui sento che c’è una possibilità di dialogo vero. Clara Natoli di NM Contemporary, a Monaco, è un’altra gallerista che stimo molto, anche per la sua coraggiosa scelta d’esportare oltralpe l’arte italiana investendo sui giovani.
Tra gli artisti affermati, chi hai in collezione?
Spazio dagli anni 30 fino agli anni 70: da Fontana a Burri, Manzoni, Capogrossi, Pistoletto, Afro di recente Corrado Cagli, che considero molto sottovalutato, Licini, Scanavino.
Sei una collezionista impulsiva o controllata?
Non sono compulsiva, acquisto secondo criteri calibrati. D’altro canto, non riesco ad acquistare se l’opera non mi piace, non mi da un brivido. Non sono un’accumulatrice seriale, ma voglio godermi le opere che acquisto, o in casa mia o in quelle della mia famiglia. In futuro magari una fondazione, chissà…
Quali sono i criteri?
Quando faccio investimenti rilevanti, guardo se l’artista ha esposto all’estero, quindi se ha un profilo internazionale già definito, soprattutto oltreoceano, perché è lì che una grossa fetta di arte italiana negli ultimi 20 anni si è rivalutata. Non ho predilezioni di genere e neanche per quanto riguarda i mezzi espressivi, anche se faccio più difficoltà con il video. Fatto salvo per Bill Viola che adoro, forse per la teatralità delle sue opere quasi caravaggesche. Oltre agli artisti italiani, apprezzo moltissimo l’arte asiatica.
Qualche nome di artisti asiatici?
Mi piace moltissimo Liu Fan. Anche Min Jung Kim, che è un’artista sudcoreana anche grande amica. Apprezzo molto anche le incisioni giapponesi, come quelle di Hokusai. Mi piace contaminare, anche con il passato: se un oggetto è bello, lo è a prescindere.
E nomi di italiani?
Pietro Ruffo, Leonardo Petrucci, che secondo me è un grandissimo talento ancora poco conosciuto, che lavora su temi come il cosmo, lo spazio, l’esoterismo. Poi, Andrea Francolino, che lavora sulle crepe, il vetro e l’infinito e David Raimondo, che porta avanti una ricerca interessante sul linguaggio virtuale.
Quanto l’arte è fonte di ispirazione per il tuo lavoro?
È una fonte di grandi sollecitazioni. Sin da quando avevo 18 anni ho una grande passione per l’Oriente, la Cina e il Giappone. Sono sempre stata affascinata dalla loro cultura e estetica. Ho iniziato a collezionare giade, ambre e oggetti minuti, con cui facevo gioielli. Mia madre è geologa, quindi il mondo delle pietre mi ha sempre molto incuriosita. All’inizio li facevo per me stessa, poi la richiesta è cresciuta, quindi ho messo su un’attività in questo settore. Ho imparato i segreti del mestiere da una persona che aveva lavorato 40 anni presso Buccellati. Adesso ho un atelier a Milano e uno in Svizzera. Produco un numero molto limitato di pezzi, non collezioni, ma pezzi unici, perché uso materiali difficili da reperire e tecniche antiche come la cera persa. Il punto di partenza sono sempre oggetti rari e preziosi da collezione. Il lusso per me si esemplifica in questo, nell’avere un oggetto unico. Sono stata anche contattata da gruppi importanti che mi chiedevano di produrre in serie, ma ho rifiutato perché per me la parte creativa è più interessante e si perde nella serialità. La mia è una clientela sofisticata che non si identifica il lusso con il brand. Sono persone che hanno tutto e comprendono il valore di oggetti realizzati a mano, con tanto oro, con oggetti preziosi che hanno una storia.
Ci racconti il tuo processo creativo?
È difficile da spiegare, è necessaria una predisposizione individuale per il buon gusto e la capacità di armonizzare pietre, colori e forme, ispirazioni da cose impensate. Compro oggetti antichi, li tengo lì per tanto tempo e ad un certo punto arriva l’ispirazione. Più metti dentro informazioni nel cervello, più il cervello compone e associa. Anche vedere le forme della natura crea in me il processo creativo che poi si concretizza. Viaggiando scopro tecniche manuali particolari e antiche. Per esempio, ho usato la tecnica utilizzata sui coralli nel trapanese per i paramenti sacri. Il gioiello orientale è un terreno sicuramente molto ricco. Studio le loro iconografie, le giade con forme di animali come le cicale, le rane, i pipistrelli. Le vado a vedere nei musei. Nei miei gioielli ho incorporato manici in giada di antichi specchi, ma anche pezzi antichi del 700, alcuni, per esempio, realizzati utilizzando delle snuff bottle usate per il tabacco, in voga durante la dominazione portoghese in Cina.
Acquisti arte online?
Faccio molta fatica, viene a mancare metà del divertimento.
Che cosa ti auguri per il futuro?
Di tornare a stare insieme. L’incontro e lo scambio con gli artisti sono fondamentali per me. E, in generale, che tutti gli artisti di tutti i settori creativi possano vivere del proprio lavoro. In Italia si pensa ancora che gli artisti siano perditempo che fanno cose strane. Vedo concretamente le loro difficoltà quando escono dall’accademia, la difficoltà ad andare all’estero. Il Covid certo non ha aiutato. Speriamo di risorgere da questo periodo difficile.