05/06/2023 | Maria Adelaide Marchesoni
Caos, la collezione Roberto Spada
Nella sede della Spada Partners, nel centro di Milano, in un edificio progettato nei primi anni ’60 da Luigi Caccia Dominioni, i clienti possono ammirare parte di una collezione d’arte che svela una grande sensibilità verso il presente
Roberto Spada colleziona arte contemporanea dal 2005 e, come spesso accade, la sua è una raccolta work in progress che attualmente conta circa duecentocinquanta lavori tra pittura, scultura, fotografie, video e installazioni di artisti provenienti da ogni parte del mondo. Per lui la collezione d’arte è “un’affascinante e legittima poligamia” e se dovesse attribuirle un titolo quello più appropriato sarebbe Caos.
Le opere fra di loro sono legate da un filo conduttore sulla tematica dell’identità, che sia di razza, genere o politica. Il progetto della collezione, che Roberto Spada condivide con gli altri partner dello studio non solo a Milano ma anche a Roma e Bologna, ha una missione: sostenere la creatività dei giovani artisti ed essere un'occasione di scambio, dialogo e riflessione.
Per quale motivo ha iniziato a collezionare?
La nascita della collezione è avvenuta grazie sicuramente al rapporto di amicizia con l’avvocato e collezionista Giuseppe Iannaccone e con la storica gallerista milanese Claudia Gian Ferrari, figlia di Ettore, uno dei più grandi galleristi del Novecento, di cui con straordinario carisma ha portato avanti l’attività fino alla prematura scomparsa. In particolare direi grazie ai viaggi che organizzavano alla ricerca di giovani artisti e nuove gallerie in giro per il mondo in India, Iran e Israele. Io partivo come appassionato di culture orientali e ripensando al mio atteggiamento all’epoca, devo essere sembrato molto buffo: mi guardavo intorno e stavo in silenzio fino all’ultimo, aspettando, col timore di risultare inopportuno per i miei commenti da neofita. Quando con coraggio decisi di acquistare due sculture dell’artista indiano Praneet Soi, Claudia mi rassicurò dicendo che se mi fossi stancato di vederle le avrebbe comprate lei. Capii che avevo scelto bene, secondo lei avevo un gran fiuto. Quel che è certo è che le due sculture sono ancora, dopo molti anni, nel mio studio.
Con chi condivide la passione?
Condivido la passione innanzitutto con mio figlio Michael. Anche se lui non è un vero appassionato e non abbiamo gli stessi gusti mi piace parlarne con lui e capire il suo punto di vista. Recentemente poi mi sono ritrovato con la mia famiglia a Cuneo ad allestire alcune opere nella casa che i miei genitori hanno da poco ristrutturato. Mi ha fatto molto piacere scoprire che mio padre vuole una lista di tutti gli artisti e anche una breve storia delle opere così da saperne di più e poterne raccontare agli amici.
Il focus della sua collezione o se esiste un fil rouge che lega le opere?
Qualche tempo fa in un’intervista mi hanno chiesto quale titolo darei alla mia collezione. La risposta è stata: Caos. Questa è la caratteristica chiave della collezione con un focus sul corpo umano e la multiculturalità. Solo dopo qualche anno mi sono reso conto che le opere fra di loro hanno un filo conduttore legato alla tematica dell’identità, che sia di razza, di genere o politica.
Quali sono i criteri con cui sceglie un'opera o un artista?
Una pulsione irrazionale dettata dall’istinto.
Quale aspetto del collezionare preferisce: cercare, trovare o possedere?
Direi che amo tutti e tre questi aspetti.
Quale è stato il primo acquisto e in che circostanze è avvenuto?
La primissima opera che ho acquistato è Hombre Candela di Cristina Garcia Rodero, che vidi alla Biennale di Venezia nel 2001. Passeggiavo lungo le Corderie dell’Arsenale e il mio sguardo venne rapito da una fotografia. Provai a far finta di niente ma come un mantra ripetevo dentro di me questa frase: “Non posso pensare di vivere senza quell’opera”. Lo so, sembra irrazionale e naif quanto una cotta fra adolescenti, ma è proprio così che succede. Acquistai la fotografia del tutto inconsapvole che quel meccanismo sarebbe scattato molte altre volte ancora.
L’opera “irraggiungibile” che è entrata in collezione?
Più di una, in particolare quelle di Luigi Ontani. Quando gli eredi Gian Ferrari misero in asta le opere della collezione di Claudia decisi che avrei comprato alcuni pezzi che amavo molto della sua collezione e che mi avrebbero ricordato anche un’amica. Oggi sono le opere più amate da mio figlio. Lo Stupid’inno lo adora, è l’unione degli opposti, delle due inscindibili parti di ognuno di noi.
Quella che non è entrata in collezione: perché?
Un’opera visionaria di Matthew Barney, quando mi decisi ad acquistarla, l’opera era già stata venduta.
Quella con la storia più curiosa da raccontare e quella il cui possesso riempie di orgoglio?
Ce ne sono molte e potrei scrivere un libro. Forse quella più divertente è anche quella che mi riempie di orgoglio, ovvero il lavoro di Ibrahim Mahama. Comprai una sua opera l’anno prima della sua partecipazione alla Biennale di Venezia alla galleria APalazzo di Chiara Rusconi quando ancora era sconosciuto. L'opera che Chiara mi fece vedere era di dimensioni monumentali, cinque metri per quattro, ma nonostante decisi di acquistarla. Mi affascinava la storia di questi patchwork di sacchi utilizzati per il commercio del cacao e poi convertiti per il trasporto del carbone. Pe qualche anno sono stato costretto a tenerla in solaio raccomandando ai miei collaboratori, sconvolti da quei sacchi di juta lacerati, di non buttarla.
Alla fine ho trovato la sua giusta collocazione. Ora si trova nel mio ufficio, dove occupa un’intera parete e parte del soffitto. Dopo averla installata ho percepito da parte di soci dello studio un certo imbarazzo e preoccupazione soprattutto per le reazioni dei clienti di fronte a quei sacchi. Oggi è la nostra tenda di Abramo, densa di storia che ci protegge.
Pro e contro i social network. Il ruolo dei social network nelle sue scelte: fonte di ispirazione e/o informazione?
Mi sono tolto da Instagram e non uso social a parte Linkedin per motivi professionali. Sono ancora della vecchia scuola, le opere ho bisogno di vederle dal vivo, di parlare con gli artisti e i galleristi e soprattutto di emozionarmi.
Dove compera?
In galleria prevalentemente e, nel caso in cui gli artisti non siano rappresentati da un gallerista, direttamente da loro.
Quali fiere frequenta?
Arte fiera a Bologna, Mia Photo Fair e Miart a Milano e Artissima a Torino ogni anno. Quando riesco viaggio anche verso Basilea, Parigi, Londra e Madrid.
Studio visit all’atelier di artisti: può raccontarci un’esperienza che l’ha colpita in modo particolare?
Tutti gli studi visit per un verso o per un altro sono interessanti e mi colpiscono sempre molto. Il più recente è stato quello nello studio di Nina Carini, un’artista di origine siciliane che vive e lavora tra Milano e Ginevra. Un sabato mattina sono andato a trovarla perché ero affascinato dai racconti delle sue opere che l'artista mi aveva fatto durante un nostro precendente incontro. In particolare un'installazione sonora e la capacità dei suoni di trasportarmi in un mondo altro.
Quali opere o artisti vorrebbe aggiungere alla sua collezione nei prossimi dodici mesi.
Non sono abituato a fare una lista di opere da acquistare, ho sempre comprato senza riflettere troppo, seguendo il mio istinto e poi quest’anno durante Mia Photo Fair ho fatto molti acquisti in particolare mi sono focalizzato sull’artista iraniana Tamineh Monzavi e sull’artista tedesca Johanna Maria Fritz. Di entrambe ciò che apprezzo è che sebbene parlino di gravi questioni politiche e sociali, le immagini che ci restituiscono con le loro fotografie sono pacate e serene. Quello che trovo interessante è stato scoprire cosa si celi aldilà di questo sguardo.
L’arte italiana trova spazio nella sua collezione? Quali artisti ha in collezione e quali sono stati i motivi.
Assolutamente, nella mia collezione molti sono gli artisti italiani. A partire da Luigi Ontani di cui abbiamo parlato prima, passando per Francesco Gennari, Flavio Favelli, Jacopo Benassi, Chiara Camoni, Luca De Leva, Massimo Bartolini, Letizia Cariello, Paolo Chiasera, Nicola Lo Calzo fino ad arrivare alle più giovani artiste fotografe Federica Belli e Silvia Rosi.
Grazie agli artisti italiani mi sono anche reso conto che la serialità è una caratteristica che mi affascina molto. Ho un lavoro formato da 365 sculture di Davide Monaldi in ceramica o ancora un’opera formata da 238 fotografie digitali stampate su carta di cotone di Maria Morganti.
Per quale motivo, secondo lei, l’arte italiana contemporanea fa fatica ad affermarsi nei contesti internazionali?
Perché non abbiamo un sistema che la sostiene. Provi a paragonare il MaXXI alla Tate Modern di Londra. Siamo molto bravi a fare polemica ma non abbiamo una programmazione, una visione. Per fortuna esistono realtà private come Fondazione Prada o Hangar Bicocca a sostenere i giovani artisti anche italiani.
Tra i protagonisti del mondo dell'arte che ha conosciuto ci racconta qualche aneddoto?
Grazie all’amica Lia Rumma ho avuto la fortuna di conoscere Anselm Kiefer e di visitare il suo studio a Parigi, un’esperienza indimenticabile. Ha uno studio così grande che per raggiungere i bagni ci sono delle biciclette a disposizione degli ospiti.
L’arte l’aiuta a superare i momenti difficili?
L’arte aiuta sempre, non solo nei momenti difficili.
Pro o contro il prestito d’arte?
Assolutamente pro, l’arte è per tutti. Presto con molto piacere le opere quando mi vengono richieste, con un'avvertenza che siano trattate con rispetto. L’ultimo prestito è stato per una mostra a cura di Marco Scotini a Napoli.